La chiamano creator economy e la parola economy non è un’esagerazione, visto che più di 50 milioni di persone in tutto il mondo si considerano creatori di contenuti e la dimensione del mercato è cresciuta fino a superare i 104 miliardi di dollari ed è destinato a crescere ancora.
Con creator economy si intende quell’economia che ha fare con la creazione di contenuti (testi, video, audio, grafiche etc.) da parte di persone con interessi e passioni su particolari temi o prodotti. Nella maggior parte dei casi lo stimolo ad essere un creatore di contenuti nasce da interessi di tipo economico, perché grazie a strumenti digitali di monetizzazione i creator possono ottenere dei guadagni più o meno significativi.
Fino a poco tempo fa il content creator era colui o colei che, creando la propria opera, la condivideva senza andare alla ricerca di una relazione commerciale con le aziende.
Il suo intento era quello di trovare una piattaforma che gli desse modo di esprimersi. Era il caso di molti fotografi o scrittori di testi, su piattaforme come Unsplash o WordPress.org
Il boom dei creator alla ricerca di guadagni l’abbiamo visto solo negli ultimi due anni, grazie all’accelerazione alla digitalizzazione spinta dal Covid-19: piattaforme di formazione come Udemy oppure Domestika sono piene di corsi realizzati e venduti da content creator a volte sconosciuti.
E’ notizia del 12 luglio 2022 che anche Instagram ha lanciato la propria piattaforma per Creators.
La differenza tra content creator e influencer
L’influencer è colui o colei che utilizza le piattaforme digitali con il preciso scopo di dare vita a una relazione commerciale con le aziende, mettendo a disposizione dell’azienda cliente la sua audience e la sua creatività. Tra i social, Instagram è la piattaforma più adatta per gli influencer perché permette di accedere ad un’audience ampia, a cui le aziende difficilmente riuscivano ad arrivare da sole, con messaggi immediati, facilmente comprensibili.
Influencer non è sinonimo di content creator. L’influencer spesso è tale grazie alla propria dimensione fisica, al suo personale status quo e non per la produzione di contenuti.
Il fenomeno degli grandi influencer, nato oltre dieci anni fa, è oggi in declino, sorpassato dai micro-influencer, considerati più vicini alle persone e credibili.
Alcuni trend fanno ipotizzare che anche i micro-influencer saranno rimpiazzati da altre forme di sostegno ai brand, come l’utilizzo di creator i quali, istruiti dalle aziende, saranno in grado di comunicare in modo coerente con le indicazioni del brand.
“Il futuro degli influencer appartiene già al passato. Perché nella maggior parte dei casi coloro che vengono definiti influencer non lo sono affatto.
Piuttosto sono hacker egoriferiti legati alle pubbliche relazioni, e per giunta spesso scarsamente remunerati.
D’altronde raccontarsi sui social media è una corsa che non porta alcun vantaggio, perché nel lungo periodo non genera né attenzione e né fiducia.
Nella stragrande maggioranza dei casi i social sono una trappola.”
Seth Godin
Oggi, i responsabili marketing delle grandi aziende hanno capito che possono sfruttare queste collaborazioni.
E’ così che stiamo assistendo ad un proliferare di piani strategici che coinvolgono i creators. Dopo Facebook e Instagram, oggi potete leggere di collaborazioni per creators in Canva o Convertkit, oppure in Shopify come “partner“, cioè creatore di temi o applicazioni.
E’ chiaro che la comunicazione tra brand e clienti è molto cambiata negli ultimi anni.
Oltre ai creator, da qualche anno, stiamo assistendo ad un ulteriore fenomeno, quello dell’employer branding, cioè la strategia di comunicazione con cui le aziende, avvalendosi dei loro dipendenti, comunicano all’esterno i loro valori, risultati e obiettivi. Automattic, l’azienda che ha realizzato WordPress, ne è uno dei tanti esempi: centinaia e centinaia di dipendenti sono invitati ad essere anche blogger e scrivere delle loro esperienze aziendali utilizzando una delle piattaforme più famose al mondo per la gestione e creazione di contenuti.
Viviamo in un’epoca in cui sono tutti dei portavoce e tutti dei creatori di contenuti.
Sta alle aziende cavalcare questa onda e sfruttare la nuova dimensione.
Nei casi in cui i prodotti lo consentono, le aziende più lungimiranti creano delle accademy per formare persone che, come dei veri e propri evangelisti, sappiano riportare correttamente i contenuti, la mission e la vision del brand.